Onorevoli Colleghi! - Sempre più spesso nelle carceri si verificano decessi e suicidi le cui cause devono essere rinvenute anche nella cosiddetta «mala sanità» penitenziaria.
      Nonostante l'elevato livello di preparazione e di abnegazione dei medici penitenziari, il sistema sanitario carcerario non è più in grado di garantire azioni di prevenzione e di cura appropriate e tempestive per le malattie che, con sempre maggiore frequenza, si diffondono tra la popolazione carceraria. Questa drammatica situazione è determinata principalmente dal sovraffollamento, dalle pessime condizioni igienico-sanitarie degli istituti di pena, dalla carenza di risorse economiche e strutturali e dalla inadeguatezza dell'apparato normativo che disciplina la materia della medicina penitenziaria.
      I dati relativi alla salute in carcere diventano ogni giorno sempre più tragici: su una popolazione carceraria di circa 68.000 detenuti che convivono in condizioni di promiscuità in ambienti spesso malsani, la percentuale più alta è costituita dai tossicodipendenti, seguiti dai sieropositivi, dagli affetti da AIDS conclamato e dai disturbati mentali. A tali soggetti si aggiungono gli alcool-dipendenti, i malati di tubercolosi, di epatite e di altre malattie infettive e parassitarie di facile contagio. A fronte di questi dati i medici penitenziari incaricati, i medici del servizio di guardia, i medici specialisti e gli infermieri costituiscono una cifra quasi irrisoria rispetto all'attività che sono chiamati a svolgere presso gli ospedali penitenziari e gli ospedali psichiatrici giudiziari dell'Amministrazione penitenziaria.

 

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      Nel 1999, con il decreto legislativo n. 230, si è proceduto al riordino della medicina penitenziaria con l'obiettivo di garantire ai detenuti un livello di tutela della salute pari a quello dei cittadini liberi, disponendo il passaggio delle competenze in materia di sanità penitenziaria dal Ministero della giustizia al Servizio sanitario nazionale e quindi alle regioni e alle aziende sanitarie locali (ASL). In particolare sono state oggetto di trasferimento le funzioni sanitarie svolte dall'amministrazione penitenziaria nei settori della prevenzione e dell'assistenza ai tossicodipendenti detenuti. Per le restanti attività sarebbe dovuta partire una fase di sperimentazione con la quale trasmettere al Servizio sanitario nazionale tutte le altre competenze sanitarie fino ad allora attribuite al Ministero della giustizia. La sperimentazione, che sarebbe dovuta terminare il 30 giugno 2002, non è stata mai avviata. Furono individuate prima la Toscana, il Lazio e la Puglia e successivamente l'Emilia-Romagna, la Campania e il Molise, come le regioni nelle quali avviare il graduale trasferimento, in forma sperimentale, delle funzioni sanitarie. Il citato decreto legislativo n. 230 del 1999 prevedeva che nel corso della fase sperimentale il personale coinvolto venisse posto alle dipendenze funzionali del Servizio sanitario nazionale. Al termine della fase sperimentale si sarebbe dovuto provvedere al riordino definitivo del settore della medicina penitenziaria e quindi anche della normativa che regola il rapporto di lavoro dei medici penitenziari. Per quanto la fase sperimentale non sia neanche iniziata è oramai necessario procedere quanto prima al riordino della medicina penitenziaria. L'attuale situazione di stallo normativo crea precarietà e incertezza sul presente e sul futuro del sistema sanitario penitenziario con ricadute estremamente gravi sulla salute dei detenuti e sulle condizioni di lavoro dei medici penitenziari.
      Prendendo atto che le modifiche del titolo V della parte seconda della Costituzione hanno definitivamente sanzionato la scelta riformatrice a favore delle regioni in materia di sanità, appare in tutta evidenza quanto sia indispensabile una revisione della legge 9 ottobre 1970, n. 740, sul personale sanitario addetto agli istituti di pena, al fine di renderla più funzionale e più aderente ai nuovi compiti del medico penitenziario. Questi oramai risultano amplificati a dismisura in un contesto ambientale sempre più difficile, complesso, denso di responsabilità professionali e rischi di ogni tipo. Non si può più non tenere conto che negli ultimi anni, da un lato, è notevolmente cresciuta nelle carceri la domanda sia in termini di salute che di servizi e, dall'altro, si è evoluta la concezione della salute. Tutto ciò impone al medico penitenziario una rinnovata attenzione ai complessi problemi di prevenzione delle malattie in carcere e di recupero dello stato di benessere psicofisico del paziente-detenuto.
      La medicina penitenziaria oramai ha come scopo non solamente la tradizionale lotta contro la malattia ma anche la promozione della salute del detenuto, per cui assistiamo a un notevole accrescimento degli ambiti di intervento e delle responsabilità pratiche del medico penitenziario, le cui motivazioni ideali aumentano contemporaneamente.
      L'apparato normativo che disciplina lo status giuridico ed economico dei medici penitenziari dovrebbe tenere conto sia della estrema responsabilità connessa alla delicatezza dei compiti attribuiti sia dell'elevato livello di rischi fisici e biologici ai quali essi sono sottoposti quotidianamente.
      Purtroppo, presso le istituzioni la professione di medico penitenziario non gode di quella considerazione che, invece, meriterebbe, per quanto si registri una diffusa condivisione della esigenza che la salute nel carcere diventi un bene primario da tutelare e da garantire.
      Il medico penitenziario deve rimanere un libero professionista, poiché si deve salvaguardare compiutamente quell'autonomia professionale che costituisce sempre di più l'unico ed effettivo argine di credibilità verso i detenuti. Non si deve sottovalutare che egli, nel rispetto dell'ordinamento
 

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penitenziario, è il medico curante del detenuto. In questa ottica, è prerogativa indispensabile che possa conservare l'indipendenza della sua capacità decisionale e d'azione, così da ottimizzare l'efficacia terapeutica insita nel rapporto fiduciario medico-paziente, rapporto che risulta particolarmente delicato in ambito carcerario. Naturalmente l'autonomia della medicina penitenziaria, ribadita anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, deve sapersi integrare, con un incisivo rapporto di osmosi, con gli enti ospedalieri, le ASL, il territorio.
      In una prospettiva di riforma della medicina penitenziaria, il servizio sanitario penitenziario dovrebbe trasformarsi in un servizio alla comunità carceraria capace non solo di rispondere alla singola necessità assistenziale, ma anche di saper programmare e adeguare la propria risposta alle emergenze sanitarie che periodicamente compaiono nelle carceri. In questa ottica, al Ministero della salute deve competere l'indirizzo-guida di programmazione e controllo dei servizi sanitari penitenziari, assicurando comunque l'autonomia. Presso il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, invece, sarebbe necessario istituire un ufficio sanitario centrale, che sappia e abbia gli strumenti per programmare, gestire e controllare i servizi sanitari penitenziari. Occorrerebbe, in sostanza, un nucleo centrale che costituisse il motore di tutta l'organizzazione secondo criteri di funzionalità, efficienza e trasparenza. All'ufficio sanitario centrale si dovrebbero affiancare, presso ogni provveditorato regionale, dei nuclei periferici con capacità di gestione operativa, controllo dei servizi e promozione degli standard organizzativi.
      La presente proposta di legge è diretta a porre le basi per un riordino complessivo della medicina penitenziaria attraverso una rivisitazione della citata legge n. 740 del 1970 sul personale sanitario addetto agli istituti penitenziari. Solo attraverso una normativa che esalti il ruolo di responsabilità del medico penitenziario e allo stesso tempo fornisca a questo tutti gli strumenti necessari per svolgere in maniera adeguata le delicate funzioni attribuitegli sarà possibile porre rimedio alla attuale crisi della medicina penitenziaria. Questa può essere risolta solo se si predispongono tutti gli strumenti normativi volti ad assicurare al medico penitenziario un elevato livello di professionalità che gli consenta di organizzare e attuare non solo l'attività assistenziale, ma anche di prevedere la gestione delle risorse in rapporto alle effettive necessità dell'istituto penitenziario.
      La proposta di legge, all'articolo 1, istituisce le figure di coordinatore sanitario e di dirigente sanitario, accanto a quella di medico incaricato, al fine di valorizzare il momento del coordinamento operativo tra il personale sanitario.
      L'articolo 2 prevede che a tutto il personale sanitario (medici, infermieri e tecnici) che svolge, a qualsiasi titolo, attività nell'ambito degli istituti penitenziari non sono applicabili le incompatibilità e le limitazioni normative ed economiche previste dai contratti e dalle convenzioni che il personale intrattiene con il Servizio sanitario nazionale e con l'università. Inoltre, tutto il personale sanitario ha diritto all'equiparazione dei punteggi previsti negli accordi collettivi nazionali per la medicina generale e per concorsi nel Servizio sanitario nazionale; in caso di chiusura o di soppressione dell'istituto presso il quale opera ha diritto al trasferimento in istituti limitrofi.
      L'articolo 3 fissa in non più di settecento il numero complessivio dei medici incaricati e stabilisce un criterio oggettivo per individuare il numero dei medici incaricati da destinare ad ogni istituto penitenziario. Questo viene determinato in base alla capienza massima tollerabile degli istituti penitenziari in ragione di un medico incaricato ogni cento detenuti e in base ai carichi di lavoro.
      Ai sensi dell'articolo 4, l'ammissione all'incarico ha luogo mediante pubblico concorso per titoli. Con disposizione transitoria si prevede che tutti coloro che, alla data di entrata in vigore della legge, ricoprono l'incarico di medico incaricato provvisorio possono chiedere di assumere la
 

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qualifica definitivamente nell'istituto dove operano (articolo 18).
      L'articolo 5 ridisegna la composizione della commissione giudicatrice del concorso, mentre l'articolo 6 eleva il coefficiente di valutazione dei titoli relativi all'attività prestata nell'interesse dell'Amministrazione penitenziaria.
      È inoltre innalzata la soglia minima di presenza oraria settimanale del medico incaricato, il quale è tenuto a svolgere il servizio assicurando in ogni caso la sua presenza giornaliera nei centri clinici dell'amministrazione penitenziaria per 24 ore settimanali e per 18 ore, con eventuale plus-orario, negli altri istituti.
      Al fine di assicurare un adeguato livello di preparazione si prevede, inoltre, che il Ministero della salute, di concerto con il Ministero della giustizia, organizzi corsi di aggiornamento e di specializzazione in medicina penitenziaria. Al Ministero della giustizia è stata poi affidata la facoltà di iscrivere i medici incaricati e i medici di guardia a scuole di specializzazione secondo le esigenze. Per quanto riguarda l'attività di medicina preventiva, questa è resa operativa dal dipartimento della ASL di competenza, che a sua volta, per motivi logistici, può avvalersi dell'opera del responsabile dell'area sanitaria, tramite apposita convenzione libero-professionale.
      Con la modifica dell'articolo 36 della legge 9 ottobre 1970, n. 740, si stabilisce (articolo 11 della proposta di legge) che il medico incaricato può chiedere di cessare dall'incarico compiuti i settanta anni di età. In caso contrario l'età pensionabile rimane fissata a sessantacinque anni.
      Come si è già più volte sottolineato, l'accresciuta responsabilità dei medici penitenziari deve essere accompagnata da adeguati riconoscimenti professionali ed economici. Pertanto, l'articolo 12 modifica il compenso mensile, stabilendo che al medico incaricato spetta un compenso mensile lordo onnicomprensivo (stipendio + indennità di servizio penitenziario, di medico del Corpo di polizia penitenziaria) di 2.000 euro. Ai medici incaricati i quali svolgono l'incarico negli istituti o nei servizi penitenziari situati nelle isole (Favignana, Gorgona e Porto Azzurro) spetta un'indennità di sede disagiata pari a 200 euro.
      Sono inoltre modificate le discipline relative al servizio di guardia medica, ai servizi specialistici e al servizio di guardia infermieristica.
 

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